Il gradino più alto del podio della 6^ edizione del Premio Fondazione Megamark – Incontri di Dialoghi è per il romanzo d’esordio della giovanissima Maddalena Fingerle “Lingua Madre” (ed. Italo Svevo). A lei il premio di 5000 euro messo a disposizione dalla onlus che ha assegnato un riconoscimento di 2000 euro agli altri finalisti:  ‘I Pellicani’ (Ed. Miraggi) di Sergio La Chiusa, ‘Il medesimo mondo’ (Ed. Bollati Boringhieri) di Sabrina Ragucci, ‘Tutti gli appuntamenti mancati’ (Ed. Bompiani) di Alice Zanotti e ‘Uccidi l’unicorno’ (Ed. Il Saggiatore) di Gabriele Sassone e 1000 euro alla menzione speciale di Giulio Mozzo con le sue “Ripetizioni (Ed. Marsilio).

Bando di concorso

Le Sinossi

LINGUA MADRE

«Maddalena Fingerle, Lingua madre (Italo Svevo). Per l’originalità con cui l’autrice pone la lingua al centro del romanzo per definire un personaggio, le sue ossessioni e una particolare comunità di appartenenza. Il conflitto latente nel bilinguismo di Bolzano si incarna nella figura di Paolo Prescher e nelle sue elucubrazioni con forza lacerante.

“Paolo Prescher odia le “parole sporche”, quelle parole che secondo lui non dicono ciò che dovrebbero dire, e le persone ipocrite che le pronunciano. Per questo odia la città in cui è nato, Bolzano, con la sua retorica sul bilinguismo e l’apparente armonia identitaria. Da qui l’idea di abbandonare l’italiano, il desiderio di parlare una lingua incontaminata e la fuga a Berlino, dove incontra Mira, l’unica che riesce finalmente a pulirgli le parole, tanto che persino tornare a casa gli appare possibile. So consuma così un’ossessione in tre atti, in cui Maddalena Fingerle riflette sul valore delle parole e sul loro potere e, attraverso uno stile fulmineo e raffinato, rivela il senso più profonde del linguaggio.

Fremdshamen è una parola che non c’è in italiano, ma con cui riesco a capire tanto di quello che provo per mia madre: significa vergognarsi per qualcun altro. E poi c’è anche la Schadenfreude, che mi fa pensare a mia sorella, che è felice quanto agli altri succedono cose brutte. In italiano si traduce con stronza. La mia parola preferita, al momento ancora pulita, è Sollbruchstelle. Indica un punto di rottura prestabilito che può essere quello delle tavolette di cioccolata e per me significa confine”.

IL MEDESIMO MONDO

«Sabrina Ragucci, IL MEDESIMO MONDO (Bollati Boringhieri). Per la descrizione pregnante del destino inesorabile di una famiglia di emigranti italiani in Germania. Grazie a un indicativo presente assunto a tempo dell’eternità, le vicende dei Mogliano diventano un frammento di storia nazionale, dall’Italia paesana del dopoguerra dell’inurbamento, alla costruzione tenace di una classe media sempre perdente.

“E’ un destino implacabile quello che segna la famiglia Mogliano, a partire dal capostipite Pietro, ricco proprietario di terre coltivate a tabacco ma andato in rovina durante il fascismo, fino ad Angelo e sua moglie Teresa, emigrati in Germania negli anni del boom, e alla loro figlia, Roberta, nata con le malformazioni congenite dovute al talidomide. Tutti legati tra loro da quelle infelicità particolari che a volte sono misteriosamente i frutti comuni di uno stesso albero genealogico. Quando la tragedia colpirà da vicino la sua famiglia, la piccola Roberta verrà affidata alla nonna paterna, mentre il padra Angelo – risposatosi con Lia, una giovane vedova – continuerà a lavorare in Germania, proseguendo la propria vita di uomo sradicato, senza altro obiettivo che non sia il denaro. La famiglia si riunisce quando Roberta ha ormai dieci anni, a Milano, dove la ragazzina scopre le durezze della madre adottiva e dell’ambiente nel quale diventerà una giovane donna. Vittima e allo stesso tempo complice, Roberta vive sospesa, come tutti i protagonisti, tra due epoche storiche e due nazioni che, nonostante le differenze apparenti, spingono i personaggi a vivere immersi dentro gli stessi meccanismi di sopraffazione e sopravvivenza. Il medesimo mondo, appunto.

Con una scrittura estremamente lucida, capace di filtrare ogni emozione, Sabrina Ragucci scrive un libro attraversato dalla nitidezza che soltanto uno sguardo inesorabile, abituato a scandagliare la realtà, può restituire”.

I PELLICANI

«Sergio La Chiusa, i Pellicani (Miraggi). Per l’atmosfera straniata di un romanzo-monologo claustrofobico, al tempo stesso compatto e sfuggente. Giocato con eleganza e accuratezza su registri linguistici diversi, il testo diventa parabola di un tempo, il nostro, dove non sembra esistere una via d’uscita al declino generale.

“Il giovane Pellicani è un chiacchierone. Si presenta una sera – una sera tardi – nella casa del padre, casa dalla quale si era allontanato dopo aver sottratto certi risparmi da un certo cassetto vent’anni prima. L’immobile, un condominio di sei, sette piani, è disastrato. Ma la scritta “Pellicani” sul campanello dell’ultimo piano c’è ancora; e la porta è appena accostata. Il giovane Pellicani – un completo grigio un po sdrucito, una valigetta ventiquattrore portata solo per darsi un tono – vuole fermarsi una notte e via, andare altrove; ha degli affari in Cina, sostiene. Il padre avrà dimenticato i fatti di vent’anni prima, lo accoglierà volentieri. Tuttavia nell’appartamento il giovane Pellicani trova solo un vecchio. Somigliante un po’, questo è vero, soprattutto nel naso, a Pellicani padre. Ma un vecchio, insomma! Va bene che sono passati vent’anni… Parla, parla, il giovane Pellicani, raccontando tutto ciò che fa, tutto ciò che vede, l’appartamento, la biancheria stesa in una stanza, la donna che tutti i giorni viene a cucinare il minestrone al vecchio; parla, parla, il giovane Pellicani e noi lettori siamo presi in questa sua infernale chiacchiera, nel suo ostinato non credere a ciò che vede, nel suo ipotizzare, reinventare, spiegare, trasfigurare la banale realtà che gli si presenta davanti: finchè ci arrendiamo, smettiamo di farci domande, non ci interessa più se il vecchio nella casa sia o non sia Pellicani padre, se l’uomo nello specchio sia il vero Pellicani giovane o un impostore: ci interessa solo abbandonarci al fervore di questa inesauribile chiacchiera.

Rare volte la lettura di un romanzo dà tanto piacere per la scrittura in sé; e rare volte tanta ricchezza narrativa viene con tanta disinvoltura stipata in un solo romanzo, un un solo appartamento, quasi in una sola stanza”.

TUTTI GLI APPUNTAMENTI MANCATI

«Alice Zanotti, Tutti gli appuntamenti mancati (Bompiani). Per la vivida ricostruzione dell’esistenza (reale e immaginaria) di una protagonista della letteratura del ’900. Di Amelia Rosselli l’autrice ripercorre le tappe principali della vita, ma soprattutto rielabora, con grande coerenza stilistica, gli episodi minimi dell’infanzia, in un continuo alternarsi tra biografia e invenzione.

“E’ figlia di Carlo e nipote di Nello Rosselli, grandi antifascisti uccisi nel 1937. Cresce tra la Francia, l’Inghilterra, gli Stati Uniti e l’Italia. Studia composizione ed etnomusicologia, suona il violino e il pianoforte, parla tre lingue. E’ in contatto con i massimi intellettuali italiani del suo tempo eppure vive sempre in un altrove intimo e letterario, fatto di profonda sofferenza psichica e al tempo stesso di straordinaria sperimentazione linguistica. E’ Amelia Rosselli, e si di lei molto è stato scritto. Questo però non è un libro si di lei, ma attraverso di lei. E’ la testimonianza di un incontro, quello tra una ragazza di oggi e la sua opera, e di uno dei modi possibili di leggere la poesia: entrando in risonanza con il suo dettato, cercando per questo tramite di dare voce alle lacune e agli strappi presenti nella vita reale. In queste pagine Alice Zanotti racconta Amelia Rosselli non con il metro del biografo ma con la partecipazione di una giovane innamorata, che illumina dettagli minimi e liberamente immagina ciò che la storia non dice. La lacerante relazione con i genitori, le molte lingue ascoltate e parlate, le case, i libri, gli appuntamenti mancati: tutto si scompone e si ricompone come in una risacca che a ogni pagina rende viva la memoria di una donna dall’esistenza dolorosa e dalla voce inimitabile”.

UCCIDI L’UNICORNO

«Gabriele Sassone, UCCIDI L’UNICORNO (il Saggiatore). Per l’abilità con cui il testo coniuga romanzo-saggio e memoir fino a comporre – sulla scia di Luciano Bianciardi – una sorta di Lavoro culturale 4.0. La cornice che fornisce lo spunto alla narrazione (un intervento da scrivere in una notte) si rivela contenitore adeguato per una riflessione acuta sul tempo e sul nostro tempo.

“Un insegnante d’arte quasi quarantenne riceve una telefonata a tarda sera: l’ospite d’onore del convegno che ha organizzato il suo istituto ha perso il volo, e toccherà a lui sostituirlo la mattina dopo. Gli si spalanca un abisso di panico: come spiegare di fronte a tanti studiosi che cosa differenzia l’artista da una persona comune nell’epoca dei social media? E con così poco margine per preparare l’intervento? L’unica via è intraprendere un viaggio interiore attraverso le immagini, quelle private e quelle del contemporaneo, dalle sue stesse fotografie alle opere che ha più studiato e amato, da Van Gogh a Pollock, da Duchamp a Beuys, dalle pitture delle grotte di Lascaux alle illustrazioni dei libri di Jules Verne. Un percorso esistenziale che si trasforma in una riflessione sui lati oscuri del sistema dell’arte e del lavoro culturale.
Romanzo di formazione, saggio sull’industria della cultura, meditazione estetica, memoir: con Uccidi l’unicorno Gabriele Sassone ci offre un travolgente esordio narrativo. Un racconto in prima persona sul potere delle immagini e sulla macchina infernale che le produce”.

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA per “LE RIPETIZIONI “

di Giulio Mozzi – Marsilio

Per la straordinaria complessità di un romanzo introspettivo che, come un lungo e frammentario viaggio nella memoria (memoria sempre fuggevole e fallace), mescola arte e vita, verità e finzione, portando il lettore a interrogarsi di continuo e a fare i conti anche con le sue più scabrose e respingenti fantasie.

“Mario è un uomo che inventa storie, modifica la realtà, non è interessato alla verità, né sulle cose né sulle persone. Mario sfugge, per indolenza, all’obbligo di capire che tutti ci lega e tutti ci frustra. Vuole sposare Viola ignorandone la doppia, forse tripla vita. Anni prima è stato lasciato da Bianca, subito prima che nascesse Agnese, che forse è sua figlia o forse no. Tuttavia, se Bianca, spuntando dal nulla dopo anni, chiede aiuto, Mario subito accorre, disponibile ad accollarsi la paternità. È succube di Santiago, un ragazzo dedito a pratiche sessuali estreme, e affida alle fotografie la coerenza e consistenza della propria vita. Se dei giorni della vita di Mario possiamo dire – quasi sempre è il 17 giugno –, degli spazi in cui Mario si muove non siamo certi. La ripetizione è l’unica realtà di Mario. Con una scrittura avvolgente, sensuale e che procede per variazioni capitolo dopo capitolo, pur conservando un incalzare ipnotico, Giulio Mozzi in questo suo romanzo guida il protagonista, e chi legge, attraverso avventure in parte reali e in parte – ma la cosa è sempre indecidibile – del tutto immaginarie, portandoli a sfiorare le vite strane e misteriose di personaggi senza nome – il Grande Artista Sconosciuto, il Terrorista Internazionale, il Martellatore di Monaci, il Capufficio – che Mario contempla come enigmi incomprensibili e rivelatori. Arrivando, nell’ultima pagina, alla più orribile delle conclusioni”.

Il video della premiazione