Sono state 116 le opere prime in gara per la 10^ edizione del Premio Fondazione Megamark – Incontri di Dialoghi, proposte da 73 case editrici di tutta Italia. La giuria degli esperti, presieduta quest’anno da Cristian Mannu, scrittore e vincitore della prima edizione del Premio, ha decretato la cinquina dei finalisti. Anche quest’anno la giuria – composta da personalità della cultura e dell’informazione – ha individuato un’opera meritevole della menzione speciale della giuria degli esperti.

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Le Sinossi

“Poveri a noi” di Elvio Carrieri (Ventanas)

Nel cortile di una scuola media della periferia barese uno studente viene massacrato di botte da un compagno e ricoverato in prognosi riservata. A distanza di pochi metri, inerme, un altro ragazzo osserva la scena. Il senso di colpa per non essere intervenuto lo tormenterà per sempre. Passano quasi vent’anni. Nel frattempo, dimenticato quel momento tragico, Plinio (la vittima) e Libero (il testimone defilato del pestaggio) sono diventati amici. Un’amicizia basata sulla protezione reciproca. Ma quando Libero, professore in un carcere, incontra Letizia, una psicologa originaria della Valle d’Itria, il rapporto con Plinio si trasforma. Sullo sfondo di una città, Bari, ormai ridotta cinicamente alla sua anima scheletrica e post-industriale, tormentata da scandali locali e da losche manovre politiche, non c’è dramma che le tre giovani figure urbane non possano esorcizzare. Non importa quanto dolore vi sia in gioco.

La motivazione della giuria degli esperti

Per la sorprendente (considerata anche la giovanissima età dell’autore) mescolanza linguistica e per la capacità di raccontare, senza mai prendersi troppo sul serio e lontano dalle mode letterarie del momento, un maschile affascinante e trascurato: un antieroe non compiaciuto e lieve.

“Macaco” di Simone Torino (Einaudi)

Macaco vive da solo, chiacchiera con le sue gatte e non riesce a dimenticare la donna che ha amato. Con Bestemmia e lo Zitto, «amici da bullone», muove la terra a mano nel suolo duro della Valle d’Aosta. La domenica, quando la terra riposa, passa dai campi di patate a quelli da basket. «Tu non confondi le parole, tu confondi la vita», gli dice qualcuno. E per confondersi di meno, Macaco comincia a raccontare. Con una lingua viva, che ci fa commuovere e ridere nello stesso giro di frase. I suoi sono pensieri che arrivano al cuore delle cose, che emozionano, svelano, coinvolgono. Perché vengono dalla sua testa speciale e sono calati in un’epica contadina schietta, contemporanea, crudele e potente come la vita. In Macaco c’è un mondo che si potrebbe credere lontano e che invece è più vicino che mai: lo sa bene Simone Torino, che ha fatto il bracciante agricolo per anni. C’è la vita di uomini dalle poche parole ma scelte con cura. Ci sono i covoni di fieno vecchi, quelli che non si staccano, che somigliano a nuvole gialle. C’è la pietà per una gallina presa da un falco e mezza mangiata viva, nel volto di Macaco mentre cala l’accetta. E c’è Bestemmia, che beve come un animale e poi si mette a imparare la lingua dei segni per parlare con lo Zitto, che quando vuole comunicare «muove l’aria su e giù, con un ballo di dita e mani». Lavorando i campi insieme, Macaco, Bestemmia e lo Zitto si sono fatti fratelli. Bestemmia solca meglio del trattore, lo Zitto è maestro del diserbo e sa di dopobarba e sigarette, Macaco sembra sempre camminare in discesa. Ed è con questa vicinanza costruita più sulla presenza che sulle parole che affrontano ogni cosa. I problemi di Bestemmia, l’incidente dello Zitto, il rifiuto di una ragazza o i gesti eterni del raccolto. E poi la vicenda più grande di tutte: quella telefonata, prima dell’anno nuovo, con l’ordine di «concimare chimico, diserbare chimico, antiparassitare chimico». Loro tre sanno che la natura ci somiglia: a volte è accogliente come i solchi per le patate, altre volte meno, come un terreno pietroso. Ma ci guadagni che i covoni sono nuvole, che diventi «schiavo di naso» del vento, il teatro dei gatti nel sonno, e due amici, di quelli che ti sanno pensare.

La motivazione della giuria degli esperti

Per la sensibilità di scrittura (precisa, essenziale e a tratti magnetica) e per lo sguardo con cui l’autore racconta vicende di minima quotidianità, rivelandone – in modo mai retorico – una profonda carica morale.

“Patrilineare” di Enrico Fink (Lindau)

Elias, giovane musicista, dopo la morte della nonna inizia a essere perseguitato da un’«ombra». Ma cos’è? E cosa vuole da lui? Lo segue ovunque, nelle atmosfere surreali delle discoteche dove suona, nei vicoli medievali di Ferrara, fino alla casa di famiglia che custodisce memorie antiche. Ed è proprio lì, in quelle stanze polverose dove Elias decide di riscoprire le proprie radici ebraiche, che l’ombra sembra unirsi ad altre ombre e il passato inizia a prendere forma. In una narrazione dalla struttura articolata, con frequenti salti temporali e flashback, le vicissitudini di Elias si intrecciano con quelle dei Fink e dei Bassani – dall’arrivo in Italia dei bisnonni alla tragedia della seconda guerra mondiale, con la deportazione ad Auschwitz – creando un racconto intimo e coinvolgente, un mondo fatto di ricordi, emozioni e riflessioni in cui la presa di coscienza, spesso sofferta, di ciò che è accaduto si alterna ai toni della commedia e all’autoironia. Tra le grandi tragedie della Storia e piccole scene di comicità, fra demoni che ballano sul cubo e un anziano poeta circondato da gatti, fra sinagoghe, bombe e una circoncisione tardiva, Patrilineare. Una storia di fantasmi è un libro che ci tocca nel profondo e ci aiuta a comprendere quanto le storie di chi ci ha preceduto siano parte integrante di chi siamo.

La motivazione della giuria degli esperti

Per la capacità di fondere, con una voce evocativa, narrazione familiare e storia collettiva, alternando con maestria, registri stilistici che conferiscono – a una trama densa e drammatica –  una patina di leggerezza.

“Ballata di Memmo e del biondo” di Paolo Maccari (elliot)

Un pomeriggio di primavera, assistiamo a un misterioso incontro tra due uomini. Il primo, Memmo, è un anziano che ha avuto una vita ricca e un ruolo centrale nella storia della sua città. Dai suoi ricordi ne ricostruiamo la giovinezza, gli amori, gli errori, i rimpianti, in particolare la nostalgia per un tradimento e la perdita di una grande amicizia. Dell’altro, detto il Biondo, sappiamo poco e niente, se non che – pur avendo un’età matura – non ha mai raggiunto davvero una maturità. Ma chi è davvero costui e perché è così interessato al racconto di qualcuno con cui sembra non avere alcun legame? E sarà tutto vero ciò che dice Memmo? La verità di uno non è mai uguale a quella di un altro e spesso si complica al punto da non poter più avere una sola dimensione, lasciandoci con l’unica certezza di non poterla mai conoscere davvero.

La motivazione della giuria degli esperti

Per la sapienza con cui l’autore intreccia una solida costruzione narrativa e un ritmo poetico, dando vita ad una storia avvincente, fondata sull’eterna dialettica tra verità e menzogna.

“Sconfina, Beatrice!” di Francesca Zammaretti (Alcatraz)

In questo romanzo autobiografico, due avvenimenti segnano un unico spartiacque nella vita della protagonista: la fine del suo matrimonio e la morte del suo mentore. Il percorso di elaborazione di queste due perdite non è però una caduta, ma anzi una risalita, un procedere verso la luce.In questo dialogo a senso unico la narratrice ripercorre frammenti di vita, insegue i propri pensieri, procede per associazione di immagini ed emozioni, sovrapponendole a quelle che suscita la linea Cadorna, confine militare risalente alla prima guerra mondiale che segna i luoghi percorsi da questo romanzo. “Sconfina, Beatrice!” è un’opera che, appunto, sconfina – dal diario alla saggistica, dall’elegia al romanzo epistolare – e nel farlo costruisce una riflessione intorno al tema del confine, sia esso geografico, relazionale, letterario o spirituale. Il risultato è un percorso intimo di liberazione e rinascita.

La motivazione della giuria degli esperti

Per l’audacia di uno “sconfinamento” (evocato fin nel titolo), che invita a riflettere sulle varie declinazioni della forma-romanzo e di quella che si definisce “autofinzione”.

“Grammatica di un desiderio” di Vanessa Tonnini (Neri Pozza)

Come si cresce se non si hanno parole per dire il mondo, i propri pensieri e i propri desideri? Nicaredda è nato in una famiglia di sei figli, il padre morto in miniera e la madre soffocata dai doveri e dalla fame. Gli hanno insegnato solo le poche parole necessarie a sopravvivere e, nei primi anni della sua vita, non ha sentito il bisogno di conoscerne altre. Quando però viene mandato alla solfatara, tutto per lui cambia. La nuova vita è fatta di buio, cunicoli stretti che levano il fiato e paura. È fatta anche di corpi, di ragazzi come lui, i muscoli guizzanti e lo sguardo profondo, e Nicaredda sente nascere dentro di sé qualcosa a cui non sa dare un nome. Se è nel buio soffocante della miniera che conosce il desiderio, è altrove tuttavia che le pulsioni si trasformano in gesti, l’istinto si fa sentimento. Fuggito da quel luogo di morte, lo attende una nuova prigionia. Alle Tremiti, dove il regime fascista manda al confino i dissidenti, ma anche quelli come lui, in un inverno tiepido che sembra primavera scopre un’esistenza che non è pura sopravvivenza. Perché tra le violenze e i soprusi trova spazio anche un’idea di futuro. E perché su quell’isola scordata dal mondo incontra Ruggero, e i pensieri confusi diventano parole, la paura lascia filtrare il coraggio. Lontani da tutto, la disparità tra loro, il figlio orfano di un minatore e il gentiluomo di nobile stirpe, non esiste. Esiste solo una felicità che possono provare a immaginare.

Le motivazioni della giuria degli esperti

Per la capacità dell’autrice di raccontare, con grande delicatezza ed empatia e con uno stile assai vicino a quello dei “classici”, una storia dolorosa, imbevuta di silenzi, paure e vergogna.
A Vanessa Tonnini va inoltre il merito di aver riacceso i riflettori, con il suo luminoso romanzo d’esordio, sul ricordo del confino degli omosessuali alle Isole Tremiti durante il regime fascista.