Elisabetta Pierini con il romanzo ‘La casa capovolta’ (Ed. Hacca) è la vincitrice della settima edizione del ‘Premio Fondazione Megamark – Incontri di Dialoghi’. La cerimonia di premiazione, condotta dall’attrice Debora Villa nell’ambito della suggestiva cornice de “I Dialoghi di Trani” che da anni ospita il nostro premio, ha visto la partecipazione degli autori dei romanzi finalisti, in un dialogo a più voci ricco di aneddoti e storie raccontate dagli scrittori alle prese con la loro opera prima. La Pierini, pesarese di nascita che con la stessa opera ha vinto la XXIX edizione del Premio Calvino, si è aggiudicata il premio di 5.000 euro messo a disposizione dalla Fondazione Megamark. Premio di 2.000 euro, invece, a ciascuno degli altri quattro finalisti: Francesca Valente autrice di ‘Altro nulla da segnalare’ (Ed. Unici di Einaudi), Alberto Ravasio con ‘La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera’ (Ed. Quodlibet Storie), Filippo Maria Battaglia con ‘Nonostante tutte’ (Ed. Unici di Einaudi) e Riccardo Capoferro con ‘Oceanides’ (Ed. Il Saggiatore).
Le Sinossi
‘La casa capovolta‘ di Elisabetta Pierini – Ed. Hacca
«In un moderno e anonimo sobborgo residenziale, con i suoi drammi esistenziali e psicologici che covano sotto la patina della normalità, vive la piccola Eva, bambina “difficile”, intelligentissima e disadattata, dotata di una sorta di interruttore mentale in grado di trasportarla (e il lettore con lei) in una dimensione fantastica, che è evasione dal mondo e sua trasposizione nel linguaggio della fiaba: una dimensione in cui le bambole parlano, le figure immaginarie convivono con quelle reali su un piano di assoluta parità e la profonda solitudine di Eva, trascurata da un padre assente e da una madre malata di nervi, si trasforma in un fitto dialogo con ombre ora amiche, ora minacciose, la cui presenza sembra costituire l’unico antidoto a quel senso di vuoto che grava su di lei come su tutti gli abitanti del quartiere».
Motivazione: Per la spietatezza con cui, sullo sfondo di una media periferia italiana, la fiaba dell’infanzia felice viene dissezionata e distrutta, grazie alla riuscita coesistenza di realismo e fantastico.
“Altro nulla da segnalare” di Francesca Valente – Ed. Unici (di Einaudi)
«Occhipinti, insonne, insisteva nell’ordinare champagne: le ho portato in sostituzione dello stesso dell’acqua, ma ha dimostrato, rovesciandomela in testa, di non gradirla. Tutti gli altri signori ospiti hanno dormito, tranne la signora Agosta, che continua ad andare al gabinetto e spacca tutto. Altro nulla da segnalare». «Altro nulla da segnalare» è la formula di rito con cui, nei primi anni Ottanta, si chiudevano i rapportini quotidiani degli infermieri del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’Ospedale Mauriziano di Torino, uno dei primissimi esperimenti di «reparto aperto» subito dopo la promulgazione della Legge 180. Chi finiva il turno riferiva con semplicità a chi lo iniziava quanto era avvenuto nelle ore precedenti: cose ordinarie e straordinarie. Episodi comici, tragici, feroci. In quelle note «c’era un’umanità che raccontava un’altra umanità, con benevolenza e un sincero sforzo di comprensione. Spesso erano entrambe umanità dolenti». Partendo proprio dai rapportini, e dai racconti fatti all’autrice dallo psichiatra del reparto Luciano Sorrentino – che un giorno è andato a casa sua affidandole uno scatolone pieno di tutte le carte che aveva accumulato negli anni -, Francesca Valente ha dato vita a un testo senza paragoni, dove il confine tra documento e scrittura letteraria è sempre mobile e indefinibile. A ogni pagina si avverte che la sua penna cerca qualcosa, mentre insegue le storie di pazienti, medici, infermieri, a partire dalle tracce a disposizione. Qualcosa che miracolosamente trova e ci mette davanti agli occhi. «Perché le tante persone passate per i repartini hanno lasciato minuscoli frammenti: il resto è in un cono d’ombra. E perché ognuna di queste storie è una possibile versione di qualcosa che è accaduto realmente, una fotografia ricomposta di una vicenda individuale e collettiva».
Motivazione: Per il riuscito amalgama di documento e narrazione creativa che, attraverso una galleria di storie di pazienti psichiatrici, medici e infermieri, dà vita a un testo ibrido e coinvolgente.
‘La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera‘ di Alberto Ravasio – Ed. Quodlibet Compagnia Extra
«Guglielmo Sputacchiera, inetto sociale e sessuale, si sveglia trasformato in ciò che più gli manca: una donna, è diventato una donna. Ma cosa è stato? l’abuso di pornografia, la masturbazione ambidestra, il surriscaldamento globale, gli amici del liceo, uno scherzo di dio? Un po’ Samsa, un po’ Fantozzi, un po’ soldato Sc’vèik, il giovane Sputacchiera lascia la casa dei suoi e parte per un’avventura pesantemente surreale e realista. Sulla sua strada incontrerà paesani cattonazisti, l’odiato parentume, la dottoressa che palpa, il santone mariano: la tipica fauna dell’orrore provinciale lombardo, fino a un epilogo un po’ osceno, ma che è anche il solo possibile. Scritto in una prosa alta e forse anche piuttosto alticcia, questo pirotecnico romanzo affronta con crudele sarcasmo alcuni temi del nostro tempo: la digitalizzazione della vita e della sessualità, l’inconciliabile rapporto con la generazione dei padri e la disperazione economica del nuovo proletariato colto».
Motivazione: Per la sapienza con cui l’antico tema del cambiamento di sesso e uno sguardo ironico e feroce su situazioni attuali (famiglia disfunzionale, precarietà giovanile…) si coagulano in un romanzo di grande maturità.
‘Nonostante tutte‘ di Filippo Maria Battaglia – Ed. Unici (di Einaudi)
«Il primo romanzo della collana Unici è un libro sulle donne diverso da tutti gli altri. Il suo gesto rivoluzionario è questo: al posto di parlare dell’oggi resta avvinghiato alle radici, al Novecento, e fa parlare i documenti senza aggiungere un commento. Accosta delle voci vere e lascia fare a loro. La protagonista di Nonostante tutte si chiama Nina ma potrebbe chiamarsi con oltre cento nomi differenti. La sua storia è immaginaria, il suo racconto no: è affidato alle parole di chi ha lasciato una traccia di sé in una pagina fuggita all’oblio. È attraverso questi frammenti di voci, scelti dall’autore tra migliaia e poi assemblati come tessere di un mosaico, che la protagonista di questo romanzo prende vita. Come se quelle centodiciannove donne si passassero in una staffetta senza fine il testimone e la parola per raccontare un’unica storia con un brillio diverso. L’infanzia incantata e spaccata, il desiderio di una vita differente, il sesso, il lavoro, il matrimonio, la maternità, la malattia, l’amicizia, l’impegno civile, la vecchiaia… Esperienze individuali irriducibili, certo, eppure collettive. Per questo il romanzo dalla struttura originalissima a cui dà vita Filippo Maria Battaglia può dirsi anche un romanzo politico. L’emozione nasce da lì: nel vedere, nel sentire, ciò che è simile e ciò che invece resta legato a una vita, a quella vita. Nell’accostare le storie alla Storia, senza mai rinunciare alle zone d’ombra. Perché le parole possono essere anche cicatrici e «a questo – dice Nina – devono servirmi le mie, a ricordare».
Motivazione: Per l’intelligenza dell’esperimento su cui si basa la struttura narrativa del romanzo che, attingendo a decine di storie vere, ne ricostruisce una inventata e tuttavia assolutamente verosimile
‘Oceanides‘ di Riccardo Capoferro – Ed. Il Saggiatore
«Negli anni ottanta del Seicento, il giovane Kenton si imbarca per la Giamaica per lavorare in una piantagione di zucchero. Ma, convinto di essere destinato a cose più grandi, presto risponde al richiamo dell’avventura e della libertà: abbandona la piantagione e si unisce a una ciurma di bucanieri con i quali, appresa l’arte della navigazione e della pirateria, esplora i mari dei Caraibi, le acque del Pacifico e i chilometri di costa che preludono a foreste rigogliose.
Ed è nella giungla di Darien – dove gli uccelli lasciano scie leggere e fuggevoli, e in un battito di ciglia sembrano moltiplicarsi – che Kenton sente il suo anelito di conoscenza esaltarsi. Lo sa bene: non esistono i draghi, gli unicorni o le sirene; ma nell’osservazione del mondo naturale c’è più di quanto sogni la mitologia. La sua indole di esploratore lo porta a riprendere il largo, in cerca di nuove terre, nuove verità. Sbarca quindi su un’isola enigmatica in cui vivono, in un lago dalle acque salvifiche, gli Oceanides, meravigliosi uccelli anfibi dalle cangianti piume azzurrine, entità affascinanti e indecifrabili che diventano la sua ossessione. Dedicherà la sua vita a loro e all’isola, deciso a comprenderne il segreto e destinato a rimanerne vittima»
Motivazione: Per la complessità di un testo che rinnova il genere del romanzo di viaggio, combinando una trama avventurosa, ambientata nel XVIII secolo, con un’attenzione contemporanea al sentire del protagonista.