Sapo Matteucci vince l’ottava edizione del concorso letterario “Premio Fondazione Megamark – Incontri di Dialoghi. La vittoria è stata decretata da una giura popolare composta da 40 lettori; a lui il premio di 5.000 euro messo a disposizione dalla Onlus, riconoscimento di 2.000 euro, a ciascuno degli altri quattro finalisti: ‘La gioia avvenire’ di Stella Poli (Ed. Mondadori), ‘La paura ferisce come un coltello arrugginito’ di Giulia Scomazzon (Ed. Nottetempo), ‘Quasi Buio’ di Rita Siligato (Ed. Dalia) e ‘Quasi niente sbagliato’ di Greta Pavan (Ed. Bollati Boringhierie). La cerimonia di premiazione, tenutasi per la prima volta nella sede storica di Trani del Gruppo e della Fondazione Megamark, è stata condotta dall’attore Neri Marcorè con la partecipazione straordinaria dell’attore e doppiatore Luca Ward. Hanno preso parte alla serata, in un dialogo a più voci, gli autori dei cinque romanzi finalisti, scelti anche quest’anno – tra ottantotto opere giunte da tutta Italia e proposte da cinquantatre case editrici – da una giuria di esperti composta da personalità del mondo della cultura e dell’informazione pugliese.

Le Sinossi

PER FUTILI MOTIVI di Sapo Matteucci (ed. La nave di Teseo)

Il legno è vecchio, la botte è vuota, e tuttavia contiene ancora un po’ di vino. Quanto poco ci vorrebbe a buttarlo, a sbaraccare tutto? Non ci vorrebbe nulla. Nessuno avrebbe da ridire. Si farebbe spazio per chi ne ha bisogno – e tutti, intorno, hanno un disperato bisogno di spazio. Ma Sapo Matteucci decide di prendersi cura di quel vino rimasto, e vi si dedica con una forza e un coraggio e una pazienza e una perseveranza e una sincerità che non ha mai riservato a nient’altro in tutta la sua vita. Lo fa invecchiare. Lo imbottiglia. Lo porta in tavola e ce lo serve – e quel vino è questo romanzo, ed è portentoso. Sapo Matteucci non ne è solo l’autore: ne è anche il protagonista, e ci racconta senza infingimenti il tramonto di un uomo – il suo tramonto – come solo grandi scrittori ogni tanto riescono a fare, alla fine della loro carriera. Solo che della carriera di Sapo Matteucci questo romanzo è l’inizio, perché si tratta del suo esordio. Nella zona di guerra più banale e crudele della nostra avventura terrena, la famiglia, là dove ogni cosa è destinata a diventare conflitto, recupera la gioia originaria che tutti perdiamo di vista, quella dell’essere al mondo, e canta il legame esilarante e struggente con tutto ciò che al mondo lo trattiene. Madri, padri, cani, figli, conigli, rotture di coglioni danzano in queste pagine con traboccante, dissipante vitalità, descritti da un occhio che ama senza alternative e da una lingua che batte con grazia le piste della grande letteratura. Quella grande letteratura di cui Sapo Matteucci si è nutrito per cinquant’anni senza mai attentarsi di produrla, e che infine gli è scivolata fuori tutta insieme in questo libro, come quando c’è di mezzo il destino.

Motivazione: “Per l’acutezza venata di preziosa ironia con cui viene delineata la figura di un antieroe contemporaneo alle prese con una instabile e destabilizzante quotidianità familiare”.

LA PAURA FERISCE COME UN COLTELLO ARRUGGINITO di Giulia Scomazzon (ed. Nottetempo)

Roberta e Giulia: madre e figlia, separate per sempre nel 1995 da un male terribile e ancora senza terapie efficaci come l’AIDS. Giulia allora ha otto anni, e a lungo la vera causa della morte di Roberta le verrà tenuta nascosta: la nonna e il padre temono infatti lo stigma con cui la società dell’epoca condanna la malattia e le migliaia di persone che la contrassero perché furono, spesso solo per un periodo della loro vita, “tossicodipendenti”. Ma la reticenza e la finzione si fanno sempre più insostenibili ed ecco che, con ostinazione e per intima necessità, Giulia ormai adulta decide di lavorare sulla memoria individuale e collettiva, sulla sua storia che è anche la storia dimenticata di tante altre persone. Vuole restituire un’immagine veritiera e completa di Roberta, donna affettuosa e gentile, operaia in fabbrica, amorevole preparatrice di torte, morta di un male non nominabile. A completare la figura sfocata della madre, che Giulia ricerca avidamente nelle fotografie di famiglia, viene chiamato anche Andrea, il padre che per tutta la vita ha tentato a suo modo di proteggerla tenendola distante da un passato troppo doloroso.
In questo memoir lucido, tagliente e intenso, Giulia Scomazzon pone a se stessa e al lettore la domanda più difficile: come si supera la paura del passato e dell’assenza? E come si affrontano i modi imprevedibili attraverso cui il lutto si muove su di noi?

Motivazione:  “Per la capacità di ricostruire una storia vera, uscendo dallo schema dei tanti “casi dolorosi” che costellano la narrativa contemporanea e gettando luce su un capitolo recente e trascurato della nostra storia”.

LA GIOIA AVVENIRE di Stella Poli (ed. Mondadori)

Forse le storie non andrebbero mai raccontate, si trova a pensare Sara, psicoterapeuta trentenne, seduta nello studio di un giovane avvocato. Raccontarle significa farle esistere, e una volta che esistono le storie esigono: un seguito, una conseguenza, una redenzione. Eppure Sara è qui, coi capelli raccolti e la gonna elegante, proprio per raccontare all’avvocato una storia, quella della sua paziente Nadia. Aveva quattordici anni quando la sua storia si è inceppata. Nascondeva le forme sotto felpe da basket, era brava a scuola e cantava nel coro della chiesa. Un giorno un quarantenne sposato, amico del padre, ha cominciato a corteggiarla. È stato un avvicinamento lento, fatto di movimenti minuscoli, sguardi. Lei all’inizio non ha percepito il pericolo, era curiosa, provocare turbamento in un uomo l’ha fatta sentire bella, vista. Quando ha capito, era troppo tardi. Ci sono voluti mesi, poi, prima che trovasse la forza di sottrarsi. E ci è voluto molto più tempo prima che fosse davvero pronta per denunciare. Ecco perché la sua psicoterapeuta oggi è qui, in uno studio prestigioso nel centro di Milano: vuole un parere legale. È troppo tardi per cercare giustizia? Forse, pensa mentre il colloquio con l’avvocato fa affiorare un’altra verità, raccontare questa storia è già una forma di riparazione.
La gioia avvenire è un esordio fulminante – duro, scomposto, a tratti impudico – che tiene insieme la densità e il suono della scrittura poetica e la finezza analitica della prosa. È una riflessione coraggiosa sul consenso, sulla fallibilità della giustizia umana e sulla persistenza delle ferite, ma, come ha scritto la giuria del Premio Calvino, è soprattutto “un romanzo di grande intensità emotiva, reso particolarmente efficace dalla lingua scabra e spigolosa con cui è costruito”.

Motivazione: “Per l’originalità linguistica e sintattica di un romanzo in grado di scandagliare le aree grigie della personalità umana senza lasciare spazio a rassicuranti consolazioni”.

QUASI NIENTE SBAGLIATO di Greta Pavan (ed. Bollati Boringhieri)

Brianza, terra dai confini incerti, paesaggio di asfalto e capannoni, provincia ricchissima, dove la religiosa devozione al lavoro sembra essere l’unico parametro riconosciuto per la definizione di rapporti e identità. Ma per Margherita, nata nel 1990 in una delle tante famiglie venete emigrate in Lombardia nel dopoguerra, il benessere è una chimera da contemplare da lontano. Sfiancata dal susseguirsi di lavori senza prospettiva e a cui sembra destinata solo in quanto donna, svuotata dalla minaccia costante della precarietà e svilita da un’umanità ambigua, fatta di personaggi in cui albergano a un tempo colpa e innocenza, per Margherita rimane solo il sogno della fuga. Coltiva l’ossessione di Milano, attraente come una terra promessa, e di un lavoro come giornalista, forse unica possibilità rimasta per provare a fare sentire la propria voce. E sola alternativa a quella violenza che, goccia dopo goccia, quasi niente, rischia di trasformarla in tutto ciò che ha sempre rifiutato.
Con Quasi niente sbagliato Greta Pavan, giovane autrice di sicuro talento, ha scritto un romanzo di formazione, un autentico spaccato generazionale, una storia sull’appartenenza e sull’affermazione di sé che prova a rispondere a una domanda esistenziale: se il male sia ciò che riceviamo o quello che ci portiamo dentro.

Motivazione: “Per la struttura articolata e tuttavia coesa di un testo che è al tempo stesso spaccato di una generazione e indagine letteraria sull’alienazione prodotta dal capitalismo nelle province del Nord italiano”

QUASI BUIO di Rita Siligato (ed. Dalia)

Teresa ha undici anni e ormai è grande, come le ripetono la mamma e il papà. Ma Teresa ha paura e la sua inquietudine si manifesta subito dopo il tramonto, quando deve andare da sola a comprare il gelato; ha paura delle grate lungo i marciapiedi, dalle quali si affaccia il nero degli scantinati; prova paura e pietà per le persone che abitano la strada, custodi forse di un segreto. Teresa ha paura di qualcosa che ancora non ha un nome e che però sente insinuarsi nella sua vita, nella tranquillità delle sue giornate, minacciando persino la mamma, il papà e il fratellino Lucio. Poi un giorno accade qualcosa che il papà le aveva giurato non sarebbe mai potuto succedere. In una quotidianità scombinata, Teresa scopre che a volte i genitori mentono. Non c’è nessuno a cui chiedere aiuto. Gli adulti sono soli, ma lo sono anche i bambini e le bambine. Gli ultimi giorni dell’estate di TEresa saranno anche gli ultimi illuminati dalle serene certezze dell’infanzia. Poi, quasi buio.Un romanzo di formazione e una moderna storia gotica che gioca con elementi perturbanti classici, come il buio, l’orco e la morte, per raccontare il difficile passaggio dall’infanzia all’adolescenza di Teresa, una bambina di undici anni, all’interno di una famiglia i cui rapporti sono viziati dall’incapacità di comunicare.

Motivazione: “Per la precisione e la cura dei dettagli con cui questo moderno romanzo di formazione riesce a cogliere l’attimo esatto che segna la fine dell’infanzia”.

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA per:
L’ULTIMA INNOCENZA di Emiliano Morreale (ed. Sellerio)

Motivazione: “Per il sapiente gioco di specchi fra immaginario cinematografico e immaginario letterario, grazie al quale il contrasto tra verità e leggenda si rende impalpabile come una dissolvenza”.

A raccontare è un appassionato frequentatore di sale d’essai periferiche e leggendarie come il Cinema Lubitsch di Palermo, poi archivista in una smisurata cineteca di Roma, e ancora studioso e professore in piccole sedi universitarie di provincia. In questo suo girovagare si imbatte quasi per caso in una serie di storie che attraversano il ventesimo secolo, in uomini e donne che inseguono desideri e visioni di celluloide. Sono vicende crudamente vere ma più che inverosimili, e in ognuna si cerca di salvare qualcosa: se stessi, i propri cari, l’amore, la dignità, rincorrendo una redenzione impossibile. Tutti i protagonisti, in un modo o nell’altro, si accorgono che la bellezza, o la fama, non potranno riscattare né loro né il mondo. Una ragazza del New Jersey diventa quasi per caso diva del muto, passeggera del Titanic e pedina di una rete di spie in Italia. Un ebreo omosessuale arriva in Italia e si inventa una nuova vita nel secondo dopoguerra, fingendosi principe in esilio e costruendo nel nulla una nuova Cinecittà. Un regista, nella speranza di rivedere il figlio perduto, conquista suo malgrado ricchezza e successo sotto il nazismo, mentre il figlio dell’unico regista processato per crimini contro l’umanità diventa il più implacabile cacciatore di nazisti d’Europa. Un altro figlio ancora, del capo di Cosa Nostra, mentre esplode la più sanguinosa guerra di mafia di tutti i tempi realizza film inguardabili, rischiando di rovinare il padre. Poi una ragazza sbandata nella Roma degli anni ’70, due uomini che la filmano, un ragazzo che prova a salvarla e va incontro a una fine tragica. E le assurde peripezie dei divi del porno, tra la Legione straniera e gli spiriti delle antiche divinità etrusche. Di tutti loro non resta quasi nulla, a volte nient’altro che un nome o un’immagine confusa, eppure da questi frammenti effimeri scaturisce una voce, l’energia di un racconto, un romanzo che restituisce corpo e vita alle brillanti traiettorie di sogni che cambiano la realtà anche quando non riescono a realizzarsi.